Per la precisione, i Sumeri sono stati la prima grande popolazione civilizzata a farne uso e consumo. Questo popolo già dal 3000 A.C era appassionato di birra o “Kas” (come era chiamata). Una particolarità è che all’epoca, così come nel medioevo, erano le donne ad occuparsi della produzione e della mescita della birra. Successivamente anche i babilonesi si approcciarono a questa nuova bevanda. Nell’antico Egitto veniva prodotta in grande scala.
Ma è grazie ai Romani che la birra conquistò l’Europa, soprattutto il Nord Europa. Dall’anno 1000 D.C si cominciò a produrre birra luppolata. Fu un successo non solo dovuto alle proprietà organolettiche del luppolo, ma anche perché si scoprì che il luppolo stesso possedeva conservanti che ritardavano la comparsa di alcuni batteri nocivi. Grazie a questa scoperta, in tutta l’Europa del nord cominciarono a nascere i primi birrifici, tutti in prevalenza appartenenti ai monaci. Nel 1600 si affermò la birra luppolata anche in Inghilterra.
Da lì in poi, per 500 anni l’arte brassicola rimase ad appannaggio dei tedeschi, fiamminghi, olandesi e inglesi. È proprio in queste regioni che nacquero tutti gli stili classici che noi ancora oggi consumiamo.
Si hanno testimonianze di produzione della birra già presso i Sumeri. Proprio in Mesopotamia sembra sia nata la professione del birraio e testimonianze riportano che parte della retribuzione dei lavoratori veniva corrisposta in birra.[9] Due erano i principali tipi prodotti nelle case della birra: una birra d'orzo chiamata sikaru (pane liquido) e un'altra di farro detta kurunnu. La più antica legge che regolamenta la produzione e la vendita di birra è il Codice di Hammurabi (1728-1686 a.C.) che condannava a morte chi non rispettava i criteri di fabbricazione indicati (ad esempio annacquava la birra) e chi apriva un locale di vendita senza autorizzazione[10]. Nella cultura mesopotamica la birra aveva anche un significato religioso: veniva bevuta durante i funerali per celebrare il defunto ed offerta alle divinità per propiziarsele.
La birra aveva analoga importanza nell'Antico Egitto, dove la popolazione la beveva fin dall'infanzia, considerandola anche un alimento ed una medicina. Addirittura una birra a bassa gradazione o diluita con acqua e miele veniva somministrata ai neonati quando le madri non avevano latte. Anche per gli Egizi la birra aveva un carattere mistico, tuttavia c'era una grossa differenza rispetto ai Babilonesi: la produzione della birra non era più artigianale, ma era divenuta una vera e propria industria, con i faraoni che possedevano persino delle fabbriche.
I veri artefici della diffusione della bevanda in Europa furono comunque le tribù Germaniche e Celtiche. Questi ultimi in particolare si stanziarono in Gallia, in Britannia e soprattutto in Irlanda, dove addirittura esiste una leggenda secondo cui gli irlandesi discendono da un popolo di semidei chiamati Fomoriani che avevano la potenza e l'immortalità grazie al segreto della fabbricazione della birra, che fu loro sottratto dall'eroe di Mag Mell
Il malto è l’ingrediente più importante della birra, quello che ne determina in modo più netto il carattere. La sua produzione avviene a partire dalla granella di orzo distico (a differenza del più diffuso orzo polistico, ha la spiga “piatta”), che, bagnata e posta in opportune condizioni di temperatura, germina. Questa fase permette la trasformazione degli amidi in maltosio e destrine.
Il maltosio è uno zucchero semplice, che può essere utilizzato dai lieviti per la fermentazione alcolica, ovvero per produrre l’alcol e l’anidride carbonica presenti nella birra. Dalle destrine si originano composti che conferiscono ulteriore complessità e rotondità al sapore del prodotto finito.
L’orzo giunto al giusto livello di germinazione, ovvero quando ha emesso 3-4 radichette ed una plumula pari alla lunghezza del chicco, viene sottoposto ad un processo di essiccazione, al fine di evitare la prosecuzione dello sviluppo delle giovani piantine.
Il processo di essicamento del malto verde, assume però una importanza tecnologica ben superiore: infatti, il livello di temperatura, l’umidità ed i tempi a cui è condotto, portano ad ottenere dei malti con peculiarità differenti.
Principali tipologie di malto:
- malto chiaro: è ottenuto essiccando l’orzo per circa quarantotto ore a temperature lentamente crescenti (dai 35 ai 42° C). Impiegato per realizzare la maggior parte delle birre, spesso unendo piccole quantità di malti diversi, è l’ideale per le ale chiare e per le pilsner;
- malto ambrato e scuro: questi due tipi di malto si ottengono sottoponendo l’orzo a un processo di essiccazione che prevede temperature molto più elevate del precedente (fino a 85° C). Nell’Europa continentale viene prodotto con questo sistema il malto tipo “Vienna”, che dona alla birra una caratteristica colorazione rossiccia;
- malto cristallino: è realizzato alzando repentinamente la temperatura del forno da 40 a 100° C. In questo modo la buccia dell’orzo si secca, mentre al suo interno si forma un nucleo duro, zuccheroso e dall’aspetto di cristallo, che conferisce alla birra un gusto corposo e dolce. Le varietà più scure sono chiamate “malto caramello”, quelle più chiare “malto carapils”;
- malto colorante: si ottiene essiccando l’orzo a una temperatura costante di circa 200° C. Il suo impiego porta alla produzione di birre scure, che racchiudono una complessa combinazione di sapori affumicati;
- malto nero: l’orzo è essicato al limite della bruciatura. Le birre si presentano estremamente scure e con sapori tendenzialmente molto amari.
L’impiego sapiente dell’essiccazione e di miscele di malti diversi permette l’ottenimento di una amplissima varietà di birre, ognuna caratterizzata da colore, profumi e sapore personalissimi, con sfumature che possono raggiungere e superare la complessità dei vini. Questo spiega quanto l’abilità e l’esperienza del mastro birraio siano tutt’ora di fondamentale importanza nell’industria e nel laboratorio artigianale per giungere alla produzione di birre di alto livello qualitativo.
Nel processo di fermentazione si utilizzano spesso ingredienti, metodi produttivi e tradizioni diversi: al posto dell'orzo possono infatti venire usati frumento, mais, riso - questi ultimi due specialmente come aggiunte in birre di produzione industriali - e, in misura minore, avena, farro, segale, mentre altre piante meno utilizzate sono invece radice di manioca, miglio e sorgo in Africa, patata in Brasile e agave in Messico; il tipo di lievito e il metodo di produzione vengono tipicamente usati per classificare le birre in ale, lager o birre a fermentazione spontanea.
Durante il processo di produzione, il malto viene immerso in acqua calda dove, grazie all'azione di alcuni enzimi presenti nella radichetta formatasi durante la germinazione, gli amidi presenti vengono convertiti in zuccheri fermentescibili, con il mosto zuccheroso ottenuto che può essere a sua volta aromatizzato con erbe aromatiche, frutta o più comunemente luppolo; successivamente viene impiegato un lievito dando inizio alla fermentazione, portando così alla formazione di alcool, unitamente ad anidride carbonica (per la maggior parte espulsa) ed altri prodotti di scarto derivanti dalla respirazione anaerobica dei lieviti.
La germinazione viene arrestata tramite essiccazione o torrefazione[N 1] quando il germoglio ha raggiunto circa i due terzi della lunghezza del chicco. L'orzo maltato viene quindi macinato fino ad ottenere una specie di farina o graniglia che viene poi miscelata con acqua calda a circa 65–68 °C. Questa fase è detta ammostamento, in quanto il malto si trasforma in mosto. Precisamente questo avviene quando l'amido ancora presente nel malto si trasforma in maltosio, uno zucchero. La massa mantenuta in agitazione nel tino (in acciaio, nel passato in rame) di ammostamento (perciò detto "ammostatore") viene portata, con opportune soste, alle temperature ottimali per l'attività enzimatica di degradazione di amido e proteine, favorendone così la solubilizzazione nel mosto.
La parte liquida viene quindi separata dalla parte solida tramite filtrazione all'interno di un tino filtro, in cui il mosto con le trebbie viene pompato dal basso. Quando tutto il mosto è stato trasferito, si lascia che le trebbie sedimentino sul falso fondo forato, e si procede quindi alla filtrazione. Per raggiungere un buon livello di limpidezza, il mosto viene fatto ricircolare più volte. Questa fase viene chiamata in gergo tecnico lavaggio delle trebbie (Sparging in inglese).
Il passo successivo è la cottura del mosto all'interno di un tino in acciaio, denominato (per questa fase) "bollitore"; tradizionalmente la caldaia per bollire il mosto era in rame che è un ottimo conduttore termico e che non si degrada eccessivamente. Il tempo di cottura è fondamentale per la scelta del tipo di birra che si vuole produrre ed anche per la sua qualità, in quanto durante questo processo avvengono la gran parte delle reazioni biochimiche; normalmente varia tra un'ora e due ore e mezza. Durante la bollitura, che nei birrifici moderni avviene tramite getti di acqua bollente ad alta pressione, si ha anche l'importante processo di sterilizzazione del mosto. Sempre durante questa operazione avviene l'aggiunta del luppolo. In genere la sala di cottura viene considerata come il "cuore" del birrificio.
Nel corso dell'ebollizione, in seguito a reazione tra i polifenoli del malto e del luppolo e le proteine del malto, si formano complessi insolubili che costituiscono il "trub a caldo". Questo tende a precipitare al termine del processo e l'allontanamento è considerato fondamentale per la qualità e la stabilità della futura birra. Questa azione è effettuata mediante l'uso del whirlpool, tino in cui il mosto giunge tangenzialmente generando una forza centrifuga che determina la raccolta della fase torbida sul fondo, al centro del recipiente, e permette la separazione di una fase liquida limpida.
In seguito il mosto viene raffreddato fino a temperature a cui può avvenire la fermentazione: dai 4 ai 6 °C per la bassa fermentazione e dai 15 ai 20 °C per quella alta.
La fermentazione si divide in due fasi; la prima, detta fermentazione principale, vede come protagonista il lievito che ha la funzione di trasformare gli zuccheri e gli aminoacidi presenti nel mosto in alcol, anidride carbonica e sostanze aromatiche. Il processo che utilizza Saccharomyces cerevisiae è più rapido, in genere tre o quattro giorni, di quello a bassa fermentazione, in quanto si svolge a temperature superiori e i processi di fermentazione sono favoriti dal calore. Questo lievito inoltre risale in superficie e viene recuperato con schiumature e per questo è notevolmente economico.
La fermentazione secondaria, detta anche maturazione, invece consiste nel lasciare per circa quattro o cinque settimane la birra in grosse vasche di maturazione a una temperatura compresa fra 0 e 2 °C. Questa operazione permette di saturare di anidride carbonica la birra e di far depositare i residui di lievito, oltre che armonizzare i vari ingredienti. In questa fase si forma la schiuma.
Infine c'è la pastorizzazione che è un processo a cui non tutte le birre vengono sottoposte. Consiste nel portare la birra alla temperatura di 60 °C per distruggere alcuni microrganismi e quindi conservare maggiormente il prodotto. La birra non pastorizzata viene definita "cruda".
Alla fine del processo alcune birre vengono illimpidite tramite filtrazione (più o meno stretta) per togliere loro i residui di opacità e velatura; successivamente sono imbottigliate o infustate. Una birra che non ha subito l'operazione di illimpidimento prima dell'imbottigliamento (o infustamento) è detta "non filtrata".
La carbonazione (aggiunta o sviluppo di anidride carbonica per ottenere la frizzantezza desiderata) può essere ottenuta per aggiunta diretta al prodotto (nel caso di alcune produzioni industriali), o effettuando in modo ermetico l'ultima parte della fermentazione, in modo che la CO2 prodotta dalla stessa si disciolga nella birra. Un'altra tecnica - tipica ad esempio di alcuni stili di birra belga, delle weizen e di gran parte delle birre artigianali - è quella della rifermentazione, che può avvenire in fusto, "cask" o in bottiglia. Con questo procedimento, prima di chiudere ermeticamente il contenitore viene aggiunta una piccola quantità di zucchero o altra sostanza fermentabile, e del lievito (solo nel caso in cui quello ancora presente in sospensione non sia sufficiente). Si sviluppa così una rifermentazione che produce la quantità desiderata di anidride carbonica che all'interno del contenitore ermetico non può che disciogliersi nella birra. Si può determinare anche un lieve innalzamento della gradazione alcolica, che tuttavia è marginale e non rappresenta lo scopo del procedimento.